Proprietà intellettuale di brevetti industriali: il titolare del diritto di privativa leso può chiedere il risarcimento dei danni subìti

La Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 5666 del 2 marzo 2021 ha stabilito che, materia di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa leso può chiedere il risarcimento del danno subìto invocando il criterio costituito dal margine utile del titolare del brevetto applicato al fatturato dei prodotti contraffatti, di cui all’art. 125 del D.lgs. N. 30/2005 in cui si precisa che il danno va sempre liquidato tenendo conto del margine di profitto conseguito dal contraffattore, decurtando i costi sostenuti dal ricavo totale.

La questione trae origine da un episodio in cui una società per azioni che opera nel settore della produzione e commercializzazione di veicoli e attrezzature industriali per la pulizia e la raccolta di liquami, ha citato in giudizio una società concorrente al fine di accertare la contraffazione della porzione italiana del brevetto europeo riconosciuto su un’invenzione di combinazione che consente di ottimizzare l’attività di espurgo dei pozzi neri.

Il motivo di tale lagnanza era, infatti, che la concorrente commercializzava illecitamente veicoli su cui erano installate le tecnologie brevettate senza concessioni in licenza.

La società accusata di contraffazione si è difesa negando sia la nullità della porzione italiana per carenza di novità ed altezza inventiva, sia contestando l’inesistenza della contraffazione.

In primo grado il Giudice ha rigettato la domanda di nullità del brevetto ritenendo valido il titolo di privativa industriale proprio per l’idonea altezza inventiva, tuttavia ha riconosciuto la contraffazione e condannato l’azienda a risarcire il danno liquidato secondo il criterio della “royalty presunta” di cui all’articolo 125, comma 2, del D.lgs n. 30/2005.

Di seguito la Corte d’appello ha confermato il criterio della “royalty presunta” in quanto la società danneggiata dalla concorrente non aveva dato prova della perdita di fatturato derivato dal calo delle vendite.

La S.p.A ha proposto ricorso per cassazione adducendo la violazione dell’articolo 125 del D. lgs. N. 30/2005 e dell’articolo 1226 del Codice Civile, con riferimento alla valutazione equitativa del danno da contraffazione (ovvero se il creditore danneggiato non può o non riesce a provare il danno subìto nel suo preciso ammontare, è il giudice a liquidare tale danno con appunto la valutazione equitativa). Dal canto suo, la concorrente ha presentato richiesta di controricorso appellandosi alla questione della nullità del titolo del brevetto.

La Cassazione ha ritenuto valide le ragioni della Corte d’Appello, confermando «la brevettabilità delle invenzioni di perfezionamento e combinazioni caratterizzate dall’esplicito utilizzo di tecniche già note che permettono di conseguire un risultato nuovo attraverso la loro coordinazione originale».

Con riferimento, invece, al motivo addotto dalla ricorrente circa la violazione dell’art. 125 del D.lgs. n. 30/2005, con riferimento alle modalità di liquidazione del danno da lucro cessante, gli ermellini hanno precisato che il testo della norma citata da parte ricorrente debba essere letto alla luce della modifica intervenuta l’art. 17 del D.lgs. n. 140/2005 il quale dispone che il risarcimento debba essere liquidato in base agli artt. 1223, 1226 e 1227 del Codice civile, tenendo conto dei seguenti aspetti:

– conseguenze economiche negative, compreso il mancato introito;

– i benefici realizzati dall’autore della contraffazione;

– anche il danno morale arrecato al titolare del diritto leso.

Il lucro cessante (il profitto che il soggetto danneggiato non ha potuto conseguire a causa dell’illecito altrui), in questo caso, «è determinato da un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto una licenza da parte del titolare del brevetto, che è legittimato a chiedere la restituzione degli utili in alternativa al risarcimento del lucro cessante nella misura in cui essi eccedono il risarcimento».

L’art. 125 del D.lgs. n. 30/2005 consente, dunque, di chiedere da parte della società lesa il risarcimento dei danni, riconoscendo una somma forfettaria che non possa essere inferiore agli importi dovuti qualora il contraffattore avesse richiesto l’autorizzazione all’uso del diritto di proprietà intellettuale.

I Giudici della Cassazione hanno evidenziato che la valutazione equitativa (valutazione fatta secondo equità dal giudice) è necessaria poiché sarebbe difficile quantificare il danno arrecato dalla società concorrente, liquidando il danno in una “somma globale stabilita in base agli atti della causa ed alle presunzioni che ne derivano”.

Si tratta del criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” che corrisponde al compenso che il contraffattore avrebbe pagato al titolare del diritto se avesse chiesto ed ottenuto una licenza da parte della società che detiene la proprietà intellettuale del brevetto.

La “royalty virtuale” rappresenta una valutazione equitativa semplificata del lucro cessante, fissando un limite minimo o residuale di quantificazione del risarcimento.

E così, in merito alla questione sollevata dal ricorrente la Cassazione ha, in conclusione, deciso di confermare la tesi di questa per l’applicazione del criterio preferenziale del lucro cessante reale, ritenuto più aderente alle dimensioni del danno patito dal titolare della privativa industriale, rispetto invece a quello della “royalty virtuale”, visto che il titolare del brevetto aveva offerto un criterio alternativo di risarcimento (formula c.d. MOL. ovvero il concetto di reddito addizionale derivante dallo sfruttamento del brevetto rapportato al volume delle vendite ottenuto dal contraffattore mediante il brevetto contraffatto).

Il lucro cessante reale è corrispondente alla somma che il titolare del brevetto avrebbe ricavato se avesse venduto i prodotti contraffatti al medesimo prezzo a cui li aveva commercializzati il contraffattore, attraverso l’applicazione del margine di utile lordo sugli automezzi realizzati.

La società ricorrente, infatti, impugnando la sentenza impugnata nella parte in cui si limitativa ad affermare che la medesima non avesse dimostrato di avere subito concretamente un lucro cessante, ha quindi dedotto che l’applicazione del criterio della “royalty virtuale” rappresenta solo il minimo sindacale del risarcimento del danno da contraffazione, equiparando sotto questo profilo il contraffattore ad un legittimo licenziatario.

La Cassazione ha, quindi, ritenuto fondati i motivi del ricorso in appello presentato dalla S.p.A. alla luce di quanto disposto dall’art. 125 del D.lgs. n. 30/2005, secondo cui si deve tenere conto degli utili del contraffattore nella liquidazione del danno. Il criterio della “royalty virtuale” rappresenta, infatti, una misura minimale e residuale ed ha, in definitiva, osservato che «la società ricorrente aveva offerto un ragionevole criterio alternativo di liquidazione del danno in via equitativa consistente nell’applicazione del proprio margine operativo lordo».

«Se fosse stato applicato detto criterio, la liquidazione del danno sarebbe stata maggiore e più rispondente ad una congrua ed effettiva riparazione del pregiudizio patito, dal momento che si sarebbero presi in considerazione tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno subìto dalla parte lesa ed i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione».

Il ricorso, pertanto è stato accolto, cassando la sentenza con rinvio.